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Psicologia nei media

Cittadini dell’isola che non c’è

Sapete quante ore passiamo ogni giorno immersi in mondi immaginari? Ben otto ci dice Jonathan Gottshall docente al Jefferson College in Pennsylvania e autore del testo L’istinto di narrare. Come le storie ci hanno resi umani (Bollati Boringhieri).

Secondo l’autore infatti ogni giorno trascorriamo quasi otto ore immersi in qualche forma di storia, raccontandole o ascoltandole dalla televisione o da un film o attraverso la lettura di un libro oppure facendo un’auto ricostruzione delle nostre personali avventure quotidiane.

Quella di narrare è una caratteristica umana che appartiene a tutte le culture. Secondo le ipotesi evoluzionistiche esposte da Gottshall, l’arte di narrare ha lo scopo di diffondere informazioni utili come ad esempio dove trovare cibo, come orientarsi ecc.

Altra ipotesi circa l’importanza delle storie è che servono come “simulatori di volo” per la vita reale (Reimond Mar).

Storie stimolanti che hanno al centro le relazioni possono accrescere le abilità sociali degli individui.

Possono, a qualche livello, prepararci alla vita reale come sostiene Michael Gazzaniga uno dei padri delle neuroscienze. Secondo l’autore infatti il nostro cervello usa la tecnica della “storificazione” per dare coerenza a ciò che coerente non è e quindi, in ultima analisi, per dare significato alla realtà.

Altri autori come Paul Zak, hanno sottolineato l’importanza della relazione che esiste tra l’arte di raccontare e il comportamento di chi ascolta. Infatti parlare non è raccontare e affinchè si producano cambiamenti in chi ascolta, la narrazione deve avere determinate caratteristiche come il fatto di rispettare un arco drammatico cioè deve avere una struttura narrativa ben precisa.

Se così congegnata una storia cambia il nostro cervello e quindi il nostro comportamento.

In un articolo pubblicato nel 2007, Zak riferendo i risultati di un esperimento, ci dice di aver trovato nel sangue di soggetti esposti al racconto di una storia congegnata rispettando l’arco drammatico, un elevato livello di cortisolo (ormone dello stress e dell’attenzione) e di ossitocina (così detto ormone dell’amore) che aumenta l’empatia.

Ma non è tutto: infatti a cambiare non è solo il cervello dei soggetti sperimentali con l’aumento delle concentrazioni ematiche di alcuni ormoni ma anche il comportamento.

Si è visto che i soggetti con più elevati livelli di cortisolo e ossitocina nel sangue erano quelli maggiormente propensi a donare più della metà del loro compenso ad uno sconosciuto (negli Stati Uniti è possibile corrispondere un compenso a coloro che partecipano ad un esperimento).

Gli sperimentatori riuscivano a prevedere con il 98% di sicurezza chi tra i soggetti dell’esperimento avrebbe donato il denaro in base al livello di cortisolo e di ossitocina nel sangue.

Quindi è possibile indurre comportamenti virtuosi mostrando un certo tipo di storie e questo ci fa riflettere su come dovrebbero essere realizzate le campagne di prevenzione per funzionare.

Inoltre possiamo dedurre come ai bambini sia meglio offrire la visione di un film più che di 100 cartoni animati “educativi”; questo perché i protagonisti dei film preferiti dai nostri figli si muovono spinti dalle emozioni, in risposta a degli ideali e si trovano in situazioni complesse e riescono a cavarsela offrendo così un’importante “simulazione di volo” per i più piccoli.

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